Il Raja Yoga
L’anima e le tre categorie umane
La liberazione dalla sofferenza e dal dolore è possibile
Il saggio che ama la consapevolezza e teme il sonno dell’inconsapevolezza non può ricadere nell’illusione. Ha trovato la via verso la liberazione. (Dhammapada)
Ogni dottrina filosofica indiana, che sia lo Yoga, il Samkya o anche il buddhismo, ha avuto come punto di partenza e obiettivo fondamentale comprendere il perché della sofferenza inerente alla vita e soprattutto come uscirne.
La sofferenza, come ognuno di noi ben sa, si manifesta secondo le circostanze della vita e la natura individuale di ciascuno. Come dire che ognuno ha i “suoi” motivi “personali” di sofferenza. Non tutto il mondo soffre, è vero, eppure il dolore è l’esperienza che accomuna ogni membro del genere umano.
Si soffre per cattiva salute; per sconforto dovuto alla perdita di una persona cara; per la paura del domani, dell’incertezza o della morte; per la frustrazione dovuta a una delusione… infinite possono essere le ragioni del nostro star male.
Secondo le quattro nobili verità di Buddha Sakyamuni esiste la sofferenza; la sofferenza ha una causa; è possibile trascendere la sofferenza; c’è una via che conduce alla cessazione della sofferenza.
La letteratura sacra d’impronta Vedica ci riferisce, appunto, i passi da seguire per percorrere il sentiero che porta al superamento del dolore.
Ben sappiamo che i mezzi che ci vengono suggeriti ci conducono dentro noi stessi, dove abbiamo da lavorare per comprendere da dove viene il nostro dolore; purificare, eliminare le cause del male; coltivare con determinazione la pratica (sadhana) che ci porterà inevitabilmente come frutto la liberazione dalla schiavitù della sofferenza.
Il jivanmukta è colui che ha realizzato la condizione di liberato in vita, è morto in vita. Questo vuol dire morire a quelle condizioni di vita che generano sofferenza. Vuol dire annientare tutti i turbamenti della personalità che inducono conflitti, dispiaceri e dolore e quindi avere integrato la personalità nella dimensione superiore, nostra vera essenza.
Così la Katha Upanishad definisce lo stato della mukti (liberazione): “Quando tutti i desideri che dimorano nel cuore svaniscono, il mortale diviene immortale e raggiunge Brahman anche qui”.
Il jivanmukta, perfettamente identificato con Brahman, ha realizzato la Realtà unica nel mondo; come si usa dire: è nel mondo senza essere del mondo. Egli può affermare: “Sono colui che anima l’albero dell’universo. La mia sorgente è il puro Brahman. Sono come quella Realtà pura che è il Sole. Sono uno splendente tesoro. Posseggo l’Intelligenza. Sono Immortale e imperituro.” (Taittiriya Up.)
Ma in termini molto semplici e pratici, come si arriva a questo che è il traguardo ultimo dell’uomo? Come dice un saggio adagio: ogni grande viaggio inizia con un piccolo passo. Allora ci basterà fare via via il primo passo possibile.
“A chi percorre la via del Ritorno, ogni evento si presenta al momento opportuno. Il discepolo non deve preoccuparsi di niente, se non di maturare la comprensione.”[1]
E per maturare la comprensione possiamo solo, con unità d’intento, convergere tutte le nostre energie all’interno della nostra coscienza e cominciare a lavorare. Primo passo: fare silenzio. Bisogna, cioè, mettere a tacere la mente e tutte le sue arzigogolate modalità di evasione per metterla al servizio del nostro compito.
Appureremo che le cause del nostro smarrimento sono riconducibili essenzialmente a due principali: il desiderio e la paura.
Il desiderio ci allontana dal nostro centro profondo, in quanto spinge la nostra coscienza verso l’esterno; ci vincola alla forma mentre noi aspiriamo all’essenza. Se la Realtà è una, essa è già dentro di noi, il che vuol dire che non dovremmo avere null’altro da desiderare. “Può la luce volere la luce se è essa stessa luce.”[2]
La paura ci fa dubitare di noi stessi e diffidare di tutto e tutti. Ma vivendo nella paura si finisce con l’identificarsi con le proprie gabbie mentali che ci impediscono di scorgere la perfezione della vita dietro ogni evento e circostanza.
Inoltre, molto subdola e disfattista è l’aspettativa, un’altra forma di desiderio. Come molto bene ci spiega Massimo Rodolfi essa ci allontana dalla Vita, tenendoci in uno spazio-tempo che non aderisce mai al presente. È destinata comunque, a prescindere, a mandare in frantumi i nostri sogni.
Mentre investiamo nelle nostre aspettative in realtà siamo agganciati al futuro, a un illusorio divenire; e questo è contrario alla Realtà profonda che siamo, che sa accogliere e accettare tutto quel che sarà, anche se opposto a quanto l’io individuale preferirebbe.
Le delusioni sono proprio dietro l’angolo, pronte per alimentare le nostre recriminazioni! Non ci resta che cedere alle ragioni della Vita, che ne sa più della nostra piccola volontà. Imparare ad accontentarsi, docilmente affidarsi alla scintilla della nostra aspirazione.
Mentre aspettiamo che diventi fuoco, sbrighiamoci a fare ogni volta il primo passo possibile per non cadere nei tranelli della nostra stessa mente, favorendo la liberazione da tutti questi fardelli e rimanere nell’imperturbabile Realtà che già siamo: pura beatitudine!
Per approfondire l’argomento sono disponibili i corsi di meditazione a cura dell’associazione Atman presente su quasi tutto il territorio nazionale ed in Svizzera. I corsi, tenuti da insegnanti diplomati alla scuola Energheia, sono pubblicizzati con l’indicazione delle varie località in cui si tengono sulla pagina web: https://corsimeditazione.yogavitaesalute.it/corsi all’interno del portale della consapevolezza Yoga Vita e Salute.
[1] Raphael, Tat Tvam Asi – Tu sei Quello, Asram Vidya, 1977 Roma
[2] Raphael, Verso un nuovo vivere, Vidya, novembre 2000
Anna Todisco