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Il proposito e l’azione dell’agricoltore sono gli stessi del Padre Nostro che è nei Cieli e la parabola del seminatore dispiega tutta la sua ricchezza.
Nel precedente articolo avevamo concentrato la nostra attenzione sulla diversa natura del terreno che accoglie il seme, cioè avevamo letto la parabola dalla prospettiva dell’ascoltatore della Parola, adesso ci occuperemo della figura del contadino, la quale può essere chiaramente accostata a quella dell’annunciatore della Parola, ovvero al Cristo stesso. In senso più lato, come intendo illustrare, il proposito e l’azione dell’agricoltore sono addirittura assimilabili a quelli stessi del Padre Nostro che è nei Cieli. E qui la nostra parabola dispiega tutta la sua esoterica ricchezza.
I PREDICATORI
Non ci viene rivelato nulla dei pensieri e dei sentimenti del contadino, che sembra agire in modo del tutto impersonale, privo per un verso di aspettative, ma conscio peraltro della nobile giustezza del suo gesto e degli effetti che avrà nell’economia del Tutto. L’allusione all’operato di Dio è chiara. Senza la sua attiva presenza, non ci sarebbe nessuna semina. E le quattro scene di cui si compone la parabola costituiscono una sola storia, quella appunto di un contadino che getta il seme nello stesso campo e nello stesso giorno, la storia appunto della Creazione.
Sembra così che il Maestro, che come Figlio perfetto ha introiettato l’Essenza del Padre nel suo ministero, voglia fortemente invitare gli annunciatori della Parola dopo di Lui ad aver fiducia nonostante gli sforzi compiuti possano sembrare vani. I primi tre quadri sono infatti la storia di un fallimento: sulla strada, fra i sassi, tra le spine, il seme non fruttifica. Solo nell’ultimo quadro il seme, caduto sul terreno buono, porta frutto cospicuo.
Ad onta degli insuccessi, veri o presunti, una parte del seme è destinato sempre a fruttare in abbondanza, ma, come chiaramente si dimostra, il problema non è dato dalla bontà del seme, bensì dalla sua possibilità di portare frutto. In questo senso non di rado l’annunciatore della Parola è portato più facilmente a dubitare della sua efficacia piuttosto che essere carente di fede nella sua verità. E per questo motivo il Salvatore sposta la sua attenzione sull’abbondanza del raccolto, magnificandone le diverse proporzioni, e minimizzando invece la quantità sprecata nei primi tre tentativi, i quali obiettivamente potrebbero far pensare ad una certa sfortuna del contadino.
Ma l’agricoltore, così come il Padre Celeste, sa benissimo quello che fa, e la sua fiducia così è già situata nel tempo presente, non è rivolta al futuro: “Levate i vostri cuori e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura (Giovanni 4, 15). Fallimenti e successi non sono disposti su una linea temporale: non è che oggi sia il tempo della dispersione del seme e domani quello del frutto abbondante, poiché la differenza non è fra tempo e tempo, ma fra terreno e terreno; nella stessa semina e nello stesso tempo sono insiti fallimenti e successi, perché questa è la sorte del seme. Di fronte alla stessa Parola troviamo in contemporanea chi l’accoglie e chi la rifiuta. Una domanda sorge spontanea: perché il contadino, se potesse, eviterebbe lo sperpero del seme, mentre Dio, proprio perché Dio, non dovrebbe evitarlo?
Noi ci meravigliamo che la semina del Padre non sia diversa da quella del contadino perché ignoriamo le leggi fondamentali del Creato. Da parte di Dio non si può parlare di spreco o noncuranza, bensì di sovrabbondanza d’amore. Il dono della Parola viene elargito a tutti, ma il rispetto per il momento evolutivo di ogni creatura e per la sua libertà non consente uniformità di risultati. E’ importante non pretendere che il seme cresca sempre e dovunque, ma piuttosto porsi nell’attitudine mentale di chi avendo certezza della bontà della semina agisce sempre al meglio delle sue possibilità senza aspettative e con la consapevolezza dei limiti che ogni situazione presenta, così come perfino la Volontà di essere del Padre si autolimita nella resistenza che la Materia oppone alla sua azione, e senza la quale resistenza peraltro non potrebbe svilupparsi né la Vita né da questa fiorire il germe della Coscienza.
E’ proprio la conoscenza delle dinamiche della Vita che dovrebbe rendere neutra la nostra azione, evitandoci l’illusione pericolosa di forzare tempi e situazioni e l’attesa quindi di risultati non conformi alla realtà del momento. Alla fine del racconto l’agricoltore quasi si trasfigura ai nostri occhi: i suoi gesti perdono i connotati della semplicità e della abitualità di un contadino della Palestina per divenire rivelatori della munificenza divina, tanto disinteressata e traboccante da sembrare quasi sprecata: tratto distintivo dell’Amore che non fa calcoli. Pace e bene a tutti.
Per leggere la prima parte di questo articolo vi rimando al link: https://www.yogavitaesalute.it/parabola-seminatore-prima-parte/
Giorgio Minardo
Fonti e bibliografia: Fede Speranza Amore – La parabola del Seminatore